L'Angelo" di Andersen


Hans Christian Andersen

(1805 - 1875 Danimarca)

Der Engel (1844)



Ogni volta che un bambino buono muore, scende sulla terra un angelo del Signore, prende in braccio il bimbo morto, allarga le grandi ali bianche e vola in tutti i posti che il bambino ha amato; poi coglie una manciata di fiori, che porta a Dio, affinché essi fioriscano ancora più belli che sulla terra. Il buon Dio tiene i fiori sul suo cuore, ma a quello che ha più caro di tutti dà un bacio, e questo riceve la voce e può cantare nel coro dei beati.
Tutto questo veniva raccontato da un angelo del Signore mentre portava un bambino morto in cielo, e il bambino lo sentiva come un sogno; e volavano per la casa, nei luoghi dove il bambino aveva giocato, e poi nei deliziosi giardini pieni di fiori bellissimi.
"Quale dobbiamo prendere da piantare in cielo?" chiese l’angelo.
Nel giardino si trovava un alto roseto, ma un uomo cattivo aveva spezzato il fusto, così tutti i rami pieni di grandi gemme sbocciate a metà, si erano piegati e appassivano.
"Povera pianta", disse il bambino, "prendi quella, così potrà fiorire vicino a Dio".
E l’angelo raccolse quella pianta, e diede un bacio al bambino, così egli aprì un po’ gli occhietti. Colsero quei magnifici fiori, ma presero anche la disprezzata calendula e la selvatica viola del pensiero.
"Adesso abbiamo i fiori", disse il bambino, e l’angelo annuì, ma ancora non volarono verso Dio. Era notte e c’era silenzio; rimasero nella grande città e volarono in una delle strade più strette, dove si trovava un mucchio di paglia, cenere e spazzatura: c’era stato un trasloco, e dappertutto c’erano pezzi di piatti, schegge di gesso, cenci e roba scartata.
E l’angelo indicò, in tutta quella confusione, alcuni cocci di un vaso di fiori; lì vicino c’era una zolla che era caduta fuori dal vaso, ma che era rimasta compatta a causa delle radici di un grande fiore di campo appassito, che non valeva più nulla e per questo era stato gettato via.
"Portiamolo con noi!", disse l’angelo, "poi, mentre voliamo, ti racconto perché".
E così volarono e l’angelo raccontò:
"Laggiù, in quella strada stretta, in un seminterrato, viveva un povero ragazzo ammalato; fin da piccolo era rimasto sempre a letto, quando proprio si sentiva bene poteva camminare per la stanza con le stampelle, ma non poteva fare altro. In certi giorni d’estate i raggi del sole arrivavano per un mezz’ora nella stanzetta del seminterrato, allora il ragazzino si metteva seduto a sentire il caldo sole su di lui e guardava il sangue rosso che scorreva nella sue dita sottili che teneva davanti al viso. In quei giorni si poteva dire: ‘Oggi il piccolo è uscito!’.
Il ragazzo conosceva il verde primaverile del bosco solo perché il figlio del vicino gli portava il primo ramo di faggio con le foglie, e lui se lo alzava sul capo e sognava di trovarsi sotto i raggi del sole che splendeva e gli uccelli che cantavano. Un giorno di primavera il figlio del vicino gli portò anche dei fiori di campo, e tra questi ce n’era per caso uno ancora con le radici: perciò fu piantato in un vaso e messo sulla finestra vicino al letto.
Il fiore, piantato da una mano amorevole, crebbe, mise nuovi germogli e ogni anno fiori. Questo divenne il paradiso meraviglioso del ragazzo, il suo piccolo tesoro sulla terra. Lo bagnava e lo curava e si preoccupava che ricevesse anche l’ultimo raggio di sole che penetrava dalla bassa finestrella; e il fiore cresceva anche nella fantasia del ragazzo perché fioriva per lui, per lui emanava il suo profumo e gli rallegrava la vita. E quando il Signore chiamò il ragazzo, egli si volse, morendo verso quel fiore.
Da un anno ormai è presso Dio, e per un anno intero il fiore è rimasto abbandonato sulla finestra ed è appassito. Per questo è stato gettato tra la spazzatura durante il trasloco. E proprio quel fiore, quel povero fiore appassito noi l’abbiamo messo nel nostro mazzo, perché quel fiore ha portato più gioia che non il più bel fiore del giardino reale".
"Ma come mai sai tutte queste cose?" domandò il bambino che l’angelo portava in cielo.
"Le so perché io stesso ero quel povero ragazzo malato che camminava con le stampelle!" spiegò l’angelo. "E conosco bene il mio fiore!".
Il bambino spalancò gli occhi e guardò il viso bello e felice dell’angelo; in quel momento giunsero in cielo, dove c’era gioia e beatitudine. Dio strinse al cuore il bambino morto e subito gli spuntarono le ali, come all’altro angelo, e insieme volarono via, tenendosi per mano.
Poi Dio strinse al cuore il mazzetto di fiori e baciò quel povero fiore di campo appassito, che subito ebbe voce e cantò con tutti gli angeli che volavano intorno a Dio: alcuni vicinissimi, altri in grandi cerchi intorno a Lui, e altri ancora molto più lontani, nell’infinito, ma tutti ugualmente felici. E tutti cantavano, piccoli e grandi, anche il bambino buono e benedetto, e quel povero fiore di campo che era appassito ed era stato gettato nella via stretta e buia, tra la spazzatura di un trasloco.